giovedì 15 marzo 2012

I movimenti giovanili

In ambito scientifico il termine indica movimenti sociali i cui aderenti sono costituiti principalmente da giovani e giovani adulti. Il collante generazionale, determinante per la genesi dei movimenti giovanili, è dato dall'esperienza collettiva di certi processi sociopolitici. Come altri movimenti sociali, anche quelli giovanili presentano un livello organizzativo piuttosto basso e un ampio spettro di mezzi di azione, tra cui prevalgono le attività dirette e non istituzionalizzate. Data l'importanza fondamentale dell'età e il carattere transitorio della gioventù, i vari movimenti giovanili hanno generalmente una durata relativamente breve.
 

Le congreghe giovanili e le associazioni di studenti, del XIX sec. sono considerate precorritrici dei moderni movimenti giovanili, mentre il termine stesso fu introdotto alla soglia del XX sec., quando iniziò a diffondersi un nuovo concetto di gioventù, intesa come fase autonoma della vita e sottosistema sociale. Secondo la loro autodefinizione, i movimenti giovanili nascono negli ambienti giovanili e devono essere diretti dagli stessi giovani. Spesso si distanziano volutamente dalla cultura degli adulti, percepita come dominante, e si oppongono alle convenzioni sociali. La coesione generazionale dei movimenti giovanili si esprime attraverso mode, trend e stili di vita, usati come codici di riconoscimento socioculturale.



La "Beat generation"


 


Dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni 60' la cultura è stata fortemente influenzata da fenomeni di costume che ne hanno caratterizzato le svolte nei vari settori, dal letterario, al musicale, al figurativo, al teatrale. Alla base di questi fenomeni possiamo individuare una tendenza generale:la contestazione.
La cultura della contestazione ha interessato soprattutto il mondo giovanile, manifestandosi sia in America sia in Europa con atteggiamenti ribellistici, provocatori, anticonformistici e trasgressivi. All'origine della rabbia giovanile stava la contestazione del sistema borghese capitalistico, l'ansia per un futuro su cui pesava il pericolo di una guerra atomica e il violento scontro generazionale. Essi rifiutavano la loro società, accusata di appiattire l'uomo, dequalificare l'intellettuale e mercificare tutto, anche l'arte e il pensiero.
Un fenomeno europeo di protesta giovanile è stato quello dei"giovani arrabbiati" (Angry Young Men). Nasceva nel 1957 in Inghilterra ed era animato da uno spirito trasgressivo nei confronti della morale tradizionale e del conservatorismo della società inglese. Attraverso la drammaturgia e la narrativa, questi giovani aggredivano il reale, presentandolo nella sua forma più bassa e frustrante usando un linguaggio basato sullo slang, in altre parole termini gergali e dialettali.
Un similare fenomeno di protesta socio-esistenziale, è stato quello della "beat generation", sviluppatosi in America fra la metà degli anni 50' e 60', con forti concentrazioni a San Francisco e a New York; in esso interagiscono fattori psicologici, di costume e di moda, e prese di posizione morali, intellettuali ed artistiche.
La società americana, di questo periodo, è percorsa da mille contraddizioni che finiscono per bloccarla in un immobilismo senza avvenire e senza speranza. Infatti, per un verso gli USA, che hanno combattuto in difesa della democrazia contro le barbarie naziste, sono considerati da molti il simbolo dalla libertà e della giustizia; dall'altro vivono sotto l'incubo della Guerra fredda, costantemente minacciati dal rischio di un conflitto nucleare. Inoltre, la paura del comunismo, scatena una vera e propria persecuzione nei confronti di tutti coloro, in particolare intellettuali e artisti, che hanno manifestato o manifestano simpatie per la sinistra (la cosiddetta "caccia alle streghe" orchestrata dal senatore Mc Carthy). Tutto ciò crea un clima pesante, che fa vacillare l'immagine del paese, da sempre considerato la culla della libertà. Sul piano dei costumi, per un verso si assiste al dilagare del consumismo, nel quale sembra essersi incarnata la promessa di felicità, garantita dal primo articolo dalla Costituzione, per altro persistono modelli di vita conformistici che bandiscono, come attività pericolose e immorali, il ballo, le relazioni sessuali e le corse in motocicletta.
I giovani della beat generation non si riconoscono in questo tipo di società ed esprimono il loro rifiuto con un atteggiamento nel quale confluiscono spinte diverse: ribellione, manifestata attraverso la scelta di un'esistenza vagabonda sulle strade e sui treni d'America e attraverso la libertà sessuale, rinunzia, voglia di una vita sfrenata e senza regole, esigenza d'autenticità e onestà in qualsiasi tipo di rapporto, vita comunitaria ecc. Essi, infatti, ritengono che solo rifiutando in blocco la civiltà moderna sia possibile salvare l'uomo com'essere umano; scaturisce da qui quella che essi chiamano "disaffiliazione", in altre parole un totale e consapevole estraneamento dalla società. Si tratta di un atteggiamento volutamente passivo, che non si propone di abbattere le istituzioni per stabilirne altre più consone alle esigenze dell'uomo, ma contrappone, alla falsità della società borghese, la chiusura in un proprio mondo solitario, del quale fanno parte solo coloro che condividono gli stessi ideali. Ciò significa che mancava alla beat generation quello spirito eversivo proprio delle avanguardie storiche. Dietro i loro atteggiamenti provocatori, non c'era la volontà ideologica di cambiare il sociale, ma solo il distacco e la fuga dai modelli societari. A tutto ciò essi reagivano con "l'assenza, " una particolare categoria dello spirito, in cui coesisteva la fuga, il viaggio e il nomadismo. I beatnik, come essi amavano definirsi, basavano inoltre la loro esistenza su una socialità e morale naturali, non regolate da leggi, e su un'assoluta onestà e franchezza; erano pacifisti, non avevano alcun interesse per il denaro, facevano uso di droghe e amavano la musica jazz. Tutti questi atteggiamenti, trovano proprio piena espressione nel termine beat, che ha in inglese il significato di "battuto" e al tempo stesso di "beato". Vuole, cioè, esprimere da un lato il rifiuto volontario di una società, nei confronti della quale ci si sente necessariamente sconfitti e dall'altro la felicità che da quest'atteggiamento ne deriva.


 




I figli dei fiori


Il movimento degli hippy, si sviluppò nel corso degli anni Sessanta in America come corrente della cultura undergroup. Questo movimento era contrario al consumismo, alle tendenze imperialistiche della politica statunitense, alle discriminazioni razziali e al conformismo che la societa industriale imponeva a seguire. Gli hippy rifiutavano perciò la loro società, accusata di appiattire l'uomo, dequalificare l'intellettuale e di mercificare tutto, compresa l'arte e il pensiero.
In America si è affermata invece, fra la metà degli anni 50 e 60, la "beat generations", concentrandosi maggiormente a San Francisco e a New York. I giovani della beat generation non si riconoscono in questo tipo di società esprimendo così il loro rifiuto mediante la ribellione manifestata attraverso la libertà sessuale, la rinunza, la voglia di una vita sfrenata e senza regole ecc. Essi infatti ritengono che solo rifiutando in gruppo la civiltà moderna sia possibile salvare l'uomo come essere umano, sostenendo cos' un totale e consapevole estraneamento dalla società.
A differenza di ciò che accadde nelle avanguardie storiche, alla beat generation mancava quello spirito avversivo (presente invece nelle avanguardie), e quindi non c'era la volontà ideologica di cambiare la società, ma solo il distacco e la fuga dei modello societari.
I beatnik come essi amavano definirsi, erano pacifisti, a loro non interessava il denaro, amavano la musica jazz e facevano ampio uso di droghe.
Tutti questi atteggiamenti trovano piena espressione nel termine beat, che in inglese significa "battutto" e al tempo stesso di "beato". Volendo così esprimere da un lato il rifiuto volontario di una società, nei confronti della quale ci si sente necessariamente sconfitti, e dall'altro la felicità che da questo atteggiamento ne deriva.


 


Il Sessantotto

Tra il 1950-’70, in conseguenza al boom economico che interessò i Paesi industrializzati, si assistette, in America e in Europa in particolare, all’aumento dei consumi privati e non essenziali, come l’abbigliamento, le automobili, gli elettrodomestici, ovvero i cosiddetti “consumi superflui”, che portarono alla standardizzazione dei modelli di consumo: si affermò così quella società consumista caratterizzata dal rapido invecchiamento tecnologico di molti prodotti industriali, dalla frequente sostituzione dei beni d’uso corrente molto al di là delle necessità imposte dall’uso materiale, dal massiccio, e spesso invadente, condizionamento esercitato da un’onnipresente pubblicità e da una certa tendenza allo spreco.
Per questa società così costituita, a partire dagli anni ’60 si assistette ad una sorta di rifiuto ideologico in quanto la si accusava di sostituire allo sfruttamento economico di tipo tradizionale una forma più subdola e raffinata di dominio, esercitata soprattutto attraverso la pubblicità e i mass media, fu per questo che si assistette alla ripresa delle ideologie rivoluzionarie di matrice marxista e tra i giovani riscosse molto successo il pensiero della Scuola di Francoforte.La contestazione studentesca degli anni ’60 e ’70 nascono proprio da questa realtà e inizialmente si configurò come rifiuto delle convenzioni, di vera e propria fuga dalla società industrializzata (fu specialmente il caso delle comunità hippy con il loro ritorno alla natura) e alla creazione di una cultura alternativa, in cui confluivano pratica della non violenza e religiosità orientale (buddismo, induismo), consumo di droghe leggere e  messaggi della nuova musica.
In seguito la rivolta giovanile assunse forme più politicizzate e trovò i suoi centri propulsori nelle università, dove la scolarizzazione di massa aveva concentrato un ceto studentesco più numeroso e socialmente più articolato di quanto non fosse stato in passato.
Gli studenti, tramite le occupazioni delle università, le autogestioni, le assemblee e le manifestazioni volevano far sentire la loro voce ed esprimere il loro dissenso verso: le politiche imperialiste, in quanto “la violenza dispiegata contro i popoli del terzo mondo era la prova tangibile di quanto limitata e condizionata fosse la libertà che veniva loro promessa, apparente la pluralità delle scelte consentite, ipocrita la buona coscienza del dopoguerra” (1968 Dizionario della memoria); la critica era rivolta anche alla guerra in Vietnam e all’autoritarismo della società, “autoritaria era la famiglia che riproduceva i ruoli già definiti e stigmatizzava ogni comportamento deviante, autoritaria la scuola che trasmetteva un modello di disciplina sociale e un’educazione alla subalternità”

I movimenti di protesta studentesca videro l’alba in America nel ’64 con l’occupazione dell’università di Berkeley che si ribellò ai divieti imposti dalle autorità accademiche di fare politica nelle università.La lotta degli studenti universitari americani fu indistricabilmente collegata al movimento  per i diritti civili,importanti furono le rivendicazioni razziali dei neri con Martin Luter King e Malcom X, e a quello pacifista, mobilitato soprattutto contro la guerra in Vietnam.
 A partire dal ’65, infatti non fu più possibile tracciare una netta via di divisione tra lotta studentesca e impegno contro la guerra e i bombardamenti.
Tutti i principali momenti di lotta nei campus, dai grandi scioperi alle occupazioni, mira il sud-est asiatico. Direttamente, con la cacciata dei reclutatori dalle università e con le manifestazioni contro gli uomini in visita del governo, e, più spesso, indirettamente,denunciando il coinvolgimento delle università nello sforzo bellico,soprattutto a livello di ricerca tecnico scientifica,e chiedendo l’interruzione dei rapporti, spesso strettissimi, tra grandi università e strutture militari e paramilitari. Anche in Europa è presente la contestazione che divenne più forte intorno al ’68-’69; i giovani cercano una maggior liberta in una società rigida, spesso di regime,vogliono una maggior partecipazione politica e una più forte democrazia di base oltre a riforme universitarie che ridimensionino la selezione diretta o indiretta all’interno degli istituti.
 

Gli studenti si attivarono in occupazioni  manifestazioni e assemblee a cui i governi rispondevano con arresti e repressioni e da cui si svilupparono il “maggio francese” e la “primavera di Praga ”:braccio di ferro tra occupazioni e sgomberi della polizia, manifestazioni e repressioni che spesso si trasformavano in scontri violenti e guerriglia urbana.